Tecnologie civiche e umanità
Una riflessione personale su quanto emerso durante la Civic Tech School
Proprio ieri mi è stato chiesto perché ho scelto di dedicare un intero weekend aseguire un workshop sulle tecnologie civiche, in quel momento la risposta più semplice che mi è venuta è stata “per curiosità” ma, pensandoci bene, mi sono reso conto che quella risposta non era sufficiente.
Non era abbastanza per me, avevo ancora bisogno di rielaborare l’enorme mole di concetti che sono stati trattati durante la Civic Tech School; metterli nero su bianco, condividerli ed aprirli ai commenti altrui mi è sembrata la maniera più efficace per chiarirmi le idee.
Tutti i temi trattati sono punti di vista personali, non hanno nessuna presunzione di essere esaustivi per tutti.
Cosa significa Civic Tech
Come molti dei concetti che emergono durante la nostra era, quello di di civic tech mantiene una certa dinamicità riconfigurandosi in base al contesto nel quale si inserisce, per usare parole di chi è più esperto di me:
“Il fenomeno delle civic tech riguarda esempi e modelli molto diversi: dall’OPEN GOVERNMENT ai BIG DATA, dai MAKERS alle SMART CITY, dalla SHARING ECONOMY all’INNOVAZIONE SOCIALE. Quando se ne parla vengono richiamati concetti come entrepreneurial state e commons innovation, procurement innovativo e finanza ad impatto sociale ma non si è affermata una visione condivisa e quindi manca una bussola per orientarsi in questo mare di termini, esempi, esperienze.”1
Questa spiegazione lascia molto all’immaginazione, proverò quindi ad entrare nel vivo, raccontando quello che più ho apprezzato durante questi 3 giorni.
La tecnologia come mezzo, controintuitività e serendipità
In questo periodo di grandissimo accesso alla tecnologia, le Innovazioni con la I maiuscola rimangono un numero irrisorio. Le novità vincenti entrano presto nella nostra quotidianità, presi dagli hype che subiamo nelle nostre bolle sociali, tendiamo spesso a vederle come panacea per tutti i mali (sharing economy, piattaforme, co-design, ecc…).
Questa rincorsa di massa alle nuove tendenze, crea una enorme uniformità di pensiero che scatena un utilizzo inappropriato delle tecnologie, rendendole inefficaci rispetto alle loro potenzialità.
Come ha ben spiegato Giulio Quaggiotto durante il suo intervento sulla R&D sociale, spesso delle risposte controintuitive hanno delle ricadute immense in termini di efficacia per risolvere un problema o generare migliorie sociali. Ne è un esempio The Lions Barber Collective, un collettivo di barbieri che attraverso un rapporto di fiducia con i propri clienti, combattono l’incidenza di suicidi nel loro territorio segnalando i casi di depressione.
Che relazione hanno i barbieri con i suicidi? A prima vista nessuna, ma il contesto giusto ha favorito un incontro tra un problema e la possibilità di risolverlo. In questo caso c’è stata una certa intenzionalità da parte del fondatore del collettivo che, dopo aver perso un amico per via di un suicidio, ha trovato nel suo lavoro giornaliero la possibilità di risolvere un problema che prima di allora non si era mai posto.
In altri casi avviene che si risolvano dei problemi complessi senza nessuna intenzionalità. Questo apre un enorme dibattito rispetto all’esigenza di capire come questo possa avvenire e come replicare certe dinamiche. Nel paper Identifying viable “need-solution pairs”: Problem solving without problem formulation, Eric von Hippel e Georg von Krogh approfondiscono la tematica di come risolvere problemi senza formularli.
La ricerca e lo sviluppo sociale quindi non si devono basare su una tecnologia predeterminata ma sulla capacità di vedere ciò che è soggiacente, capire i pattern, ricercare l’esistente, testare e iterare soluzioni possibili considerando i feedback che ne vengono generati. Come spiega Donella Meadows in Leverage Points: Places to Intervene in a System (link ita-eng) ci sono leve che consentono di generare cambiamenti più radicali ma dobbiamo capire come individuarle.
Il rapporto tra Umanità e tecnologia
Non possiamo parlare di tecnologie civiche se non riflettiamo a livello macro sul rapporto odierno tra umanità e tecnologia. Attualmente è impossibile riuscire a delineare con certezza cosa accadrà entro i prossimi 30 anni, c’è chi vede nella singolarità tecnologica la trascendenza dell’essere umano, come Ray Kurzweil ne La singolarità è vicina e chi come Joi Ito, nel suo ultimo articolo Resisting Reduction — Designing our Complex Future with Machines, cerca la risposta nella diversità, ripercorrendo il pensiero sistemico, scagliandosi contro i modelli monoculturali.
Durante la scuola è stata prediletta sicuramente la seconda strada, l’intervento conclusivo di Cesare Moreno su i Maestri di Strada ci porta a riconsiderare l’aspetto umanista più puro per risolvere i problemi civici che noi tutti condividiamo.
Sono rimasto particolarmente colpito dalla citazione di Aristide il Giusto:
Non sono le case dei bei tetti né le pietre di mura ben costruite, né i canali o i cantieri navali che fanno la città bensì gli uomini nobili capaci di usare le occasioni che si offrono loro.
Questa frase ci ricorda che c’è un rapporto diretto tra l’umanità di oggi e le persone vissute più di 2500 anni fa. I nostri paraocchi nel cercare il miglioramento quasi esclusivamente fuori da noi stessi è rimasto inalterato a livello di concezione diffusa. C’è ancora tanta necessità di offrire occasioni a quegli uomini e donne nobili o che potrebbero essere nobilitati semplicemente dando loro delle occasioni. La tecnologia sta crescendo in maniera vertiginosa ma la nostra condizione umana non segue la stessa direzione, per costruire un futuro desiderabile, forse, dovremmo investire nell’innovazione sociale almeno quanto investiamo in quella tecnologica.
L’equità dei modelli
Ci sono modalità di scelta più eque di altre, soprattutto se dobbiamo risolvere problemi complessi. Anche in questo caso, in base al contesto è importante capire che modalità di voto è più appropriata e per farlo la matematica può esserci molto utile.
L’intervento di Pietro Speroni di Fenizio, Piattaforme matematicamente eque, è stato fondamentale per capire quanto la voting theory sia presente in tutte le scelte condivise che quotidianamente prendiamo. A tal proposito non mi sento di approfondire con considerazioni che potrebbero essere inesatte, quindi condivido il suo canale di youtube, dove sono presenti molti interventi interessanti.
Guardare al futuro
Ho trovato straordinaria la possibilità di vedere ed ascoltare direttamente il futuro.
L’intervento di Chris Sigaloff, Civic tech projects in Nederland, ha confermato diverse ipotesi rispetto al futuro dell’innovazione sociale.
L’Olanda da anni lavora sugli aspetti legati al bene pubblico con approcci più inclusivi, dinamici e innovativi, per questo motivo ascoltare esempi del genere è di fondamentale importanza per noi perché ci permettono di predire certi errori ed evitare che avvengano, di fare ipotesi interessanti su servizi e prodotti effettivamente utili per la collettività, anche se di certo cambiando il contesto non sarà tutto esattamente uguale.
Quello che mi è più rimasto impresso dell’intervento della Sigaloff sono 3 aspetti emersi da casi concreti che ha voluto condividere:
- Gli agitatori felici che guidano le innovazioni sociali sono una bolla composta soprattutto da bianchi benestanti, una nuova elite che ha il tempo e le possibilità di interrogarsi su come migliorare il mondo;
- bisogna fare molta attenzione su come impostare le nostre conversazioni (anche quelle di potere), prediligendo la dialogica alla dialettica;
- fare attenzione affinché i progetti bottom-up non vengano solamente utilizzati come esca per hipster, costruendo nuovo benessere transitorio. Questo processo rischia di depotenziare le iniziative nate dal basso, nonché di mettere il decisore (pubblico) in una situazione di delega totale delle responsabilità, non costruendo un rapporto virtuoso tra la fase strategica top-down e quella tattica bottom-up.

Le connessioni
Per concludere mi piacerebbe riflettere su quello che è stato il trait d’union di molti interventi, ovvero la necessità di generare nuove connessioni, che siano umane, tra progetti, tematiche, organizzazioni, tecnologie, ecc…
Questo non è possibile se non cambiamo il contesto (quello che più volte è stato chiamato ecosistema) creandone uno che sia più disponibile a distribuire e meno ad accentrare.
Quello che mi sento di dire, pensando al futuro (quindi ai giovani), è che non c’è ancora una cultura di massa in grado di supportare delle figure professionali (e umane) più attente a generare link che ad ingrandire il proprio nodo esperienziale.
Questo è valido sotto tanti punti di vista, nell’accumulo di nozioni specialistiche, di persone nel proprio network, di potere nella propria sfera personale.
Abbracciando una cultura della connessione e della complessità potremmo condividere tutto ciò, gran parte di questi beni non perdono valore se scambiati, anzi si combinano generando nuova ricchezza.
Sviluppare un contesto dove la figura specialista e quella multipotenziale siano riconosciute come pari (rispettando le proprie diversità e non esigendo di essere uguali), è una delle sfide umane più interessanti che possiamo porci per raggiungere un mondo più connesso. Le tecnologie potranno aiutarci in questo solamente se saremo in grado di sfruttarle al meglio, con impegno e rigore, non vedendole come fine ma come mezzo per generare condizioni sociali più eque.
Se (esagerando?) non vogliamo diventare noi stessi strumenti della tecnologia, dobbiamo impegnarci ancora molto, cambiare noi stessi è la parte più difficile.
1: http://www.tecnologieciviche.eu/civic-tech/
P.S. Grazie a Valeria e Sebastiano per le revisioni e le discussioni sempre stimolanti