La Città di Domani — Carlo Ratti e Matthew Claudel — 2017

Daniele Bucci
3 min readNov 21, 2020

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Questo testo si presenta oggi come un interessantissimo saggio di storia del futuro positivista dei primi anni 10 del 2000.

Gli autori esplorano le possibilità di navigare nel presente i futuri che verranno, attraverso la disciplina del futurecraft, una metodologia di future casting nata all’interno del Senseable Lab dell’MIT.

La narrazione affronta temi centrali del presente e del futuro prossimo come la conoscenza distribuita stile wikipedia, i big data, il rapporto fra umano e tecnologico, la civiltà urbanizzata, la mobilità e l’energia. Purtroppo non viene molto approfondita la metodologia del futurecraft che rimane una sorta di idea molto vaga di speculative design applicato all’urbanistica. Gli autori descrivono le possibilità del designer (progettista) in grado di creare “anomalie” nel presente evocando così possibilità di futuro, che a loro volta possano diventare fonte di dibattito e quindi di acculturazione sociale più ampia. La tesi che viene sostenuta è che attraverso un rapporto ibrido top-down bottom-up nella gestione politica delle città si possano trovare nuovi spazi per governare la complessità della nostra era. A decisioni politiche prese dall’alto in base a precise competenze di lettura e interpretazione politica dei big data, si possono accostare strategia di hacking urbano, sociale e culturale sfruttando l’iniziativa dei cittadini stessi. La politica dovrebbe quindi da una parte munirsi dell capacità materiali e tecniche di creazione, lettura e interpretazione dei dati, dall’altra invece favorire la creatività risolutrice dei problemi propria solo delle persone che quegli stessi problemi li stanno soffrendo.

Sono molti i riferimenti bibliografici a uomini e donne che nel 900 riuscivano ancora ad immaginare implementazioni tecno-sociali globali adottate indistintamente dagli stati-nazione semplicemente perché funzionali ad uno sviluppo sostenibile della specie. Molti i rimandi a Buckminster Fuller, a Frank Lloyd Wright, a Norbert Wiener, quei miti di modernità nella quale l’individuo aveva ancora il potere di cambiare il mondo occidentale, quel mondo all’apparenza coeso, coerente e razionale.

Quando ho letto il libro per la prima volta nel 2017 tutto ciò risuonava perfettamente in me, c’erano evidenze a sostegno di uno sviluppo decentralizzato, il movimento maker era ancora esempio di una società di consumi distribuiti e autoproduzioni glocali possibili, gli indignados, le primavere arabe avevano mostrato il potere dei network, c’era speranza nell’open source come modello estendibile anche all’hardware, così come i diritti in creativecommons sembravano prendere piede.

Rileggendolo nel 2020 sembra di riferirsi ad un passato lontanissimo, molte delle comunità nate da quella ottimista ondata techno-sociale sono scomparse, dissolte nell’impossibilità di rendere sostenibile economicamente un seppur coerente modello basato sui commons e sulla decentralizzazione.

Anche se quelle prime sperimentazioni di comunità fisico-digitali hanno visto la fine, la cultura generatasi rimane disponibile, aperta e accessibile. Si può affermare con certezza che questa cultura sia stata assimilata, alle volte anche inconsapevolmente, da tante collettività che prosperano nel presente.

Forse semplicemente i tempi non erano maturi, forse non era ancora arrivato il tempo per un cambio di paradigma basato sulle reti, forse tutte le criticità che oggi si sono fatte più concrete (come la difesa della privacy, i rapporti di potere sbilanciati, le leggi di potenza che favoriscono gli hub e chi si può permettere di crearli, i single point of failure, ecc), ci aiuteranno a rendere questa transizione più umana, in grado di tutelare gli individui all’interno di un sistema intersoggettivo enorme e di difficile gestione a livello cognitivo, emotivo, pratico ed epistemologico.

Per vedere la selezione-sintesi fotografica di questo e di altri libri → https://www.instagram.com/dansuperfluolegge/

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Daniele Bucci
Daniele Bucci

Written by Daniele Bucci

I’m a systemic designer and a researcher in social innovation, working on sustainability, platform economy, network science, permaculture and more.

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